mercoledì 18 gennaio 2012

L’uomo con più denuncie in Italia?Un biologo, entomologo ed ex direttore del Parco nazionale d’Abruzzo.

Se durante una partita a Trivial Pursuit in birreria mi fosse capitata la domanda “Chi ha collezionato più procedimenti a proprio carico da parte della giustizia italiana?” avrei riflettuto qualche minuto. Dopo un sorso di birra sarei velocemente andato a scandagliare con il pensiero nomi e verbali delle inchieste di Tina Anselmi sulla P2,i lavori della commissione Moro o quella su Terrorismo e stragi di stato. Non pago avrei orientato la riflessione su la Tangentopoli di Poggiolini e De Lorenzo, le mazzette del post-terremoto in Irpinia, la mafia che uccise Falcone e Borsellino. Non certo a cuor leggero avrei comunque scartato Leone e i protagonisti dello Scandalo Lockheed, la DC di Gava, il canaro della Magliano, il boia di Albenga o Mamma Ebe. Forse, sfiancato dalla massa di pensieri e immagini, avrei alla fine pronunciato il nome di Luciano Moggi.   
       

A Franco Tassi però non avrei minimamente pensato. Fondamentalmente perché non lo conoscevo ma anche perchè dando un rapido sguardo alla pagina wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Tassi non sembrerebbe disporre di quel profilo criminale necessario per raccogliere un incredibile numero di indagini a suo carico nelle procure italiane. Invece “pare” che con quasi 1.500 fascicoli sia proprio l’ex direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo l’uomo più denunciato d’Italia.

Mi limito al momento a pubblicare un estratto di un intervista (non è datata) che ho trovato sul sito www.montevelino.it in attesa di approfondire l’argomento. Eventuali contributi per integrare, smentire e soprattutto querelare sono chiaramente ben accetti.

Intervista al dottor Tassi (estratto) fonte comitato parchi


Lei ha superato, durante gli anni dedicati al Parco, e con tutti gli strascichi successivi (vale a dire dal 1969 ad oggi), la quota di ben 1.500 procedimenti soprattutto penali, uscendone sempre scagionato e innocente. Come ha potuto tenere il conto esatto di questa vicenda incredibile, di sapore kafkiano?

«In realtà il conteggio non l’ho intrapreso io: ad iniziare furono alcuni giornalisti della stampa ambientalista negli anni Settanta, allorché mi trovavo appena a quota 300. Poi venne intrapresa una indagine più seria, e negli anni Novanta avevo già toccato quota 800: fu allora che il Corriere della Sera dedicò all’evento un vasto servizio (Sette n. 15, del 10 aprile 1997). Tenere il conto divenne però sempre più difficile, ma nel 2001 confessai pubblicamente d’essere arrivato a quota 1.000. Intanto, nel 1998 la Rivista Abruzzese, scherzandoci sopra, aveva pubblicato un Fascicolo Straordinario (La lunga guerra per il Parco Nazionale d’Abruzzo) con un singolare manifesto, Wanted!, in cui si offriva una congrua taglia per la mia testa. E in effetti, i bounty killers già pullulavano… Fiorirono ricerche, analisi sociopolitiche e tesi di laurea anche all’estero (alcune ancor oggi non concluse), e finalmente questa bella storia italiana assurse all’attenzione teutonica in Baviera, grazie allo studioso Benno Zimmermann, che nell’anno 2004 mi collocava a quota 1.300. Oggi, modestia a parte, ho raggiunto quota 1.500: un livello degno davvero del Guinness dei Primati. E non manca chi prevede che in futuro potrei conquistare persino la vetta dei 2.000».

Pensa davvero che anche adesso, che ha lasciato ormai da quattro anni la Direzione del Parco più famoso, amato e importante, ma anche più difficile d’Italia, questa “storia infinita” continuerà? Non si potrebbe invece chiuderla finalmente, magari pubblicandone il rendiconto?

«Sarebbe molto bello, ma certo non dipende da me, perché vi sono ancora vari procedimenti pendenti, e i tempi della nostra Giustizia sono quelli che tutti conosciamo. Offrire un resoconto finale completo non sarà inoltre possibile, fino a che non avrò recuperato i numerosi fascicoli che mi sono stati sottratti mentre ero ammalato. Per questo, avevamo prodotto nel 2002 due circostanziate denuncie penali, una a Roma e l’altra a Sulmona, ma senza ottenere nulla, almeno per ora. Si dovrà dunque attendere ancora, e forse non poco».

Quali sono le cause di fondo di tutte queste denunce infondate, talvolta ridicole? Possono spiegarsi soltanto con il conflitto, spesso violento, tra chi difende la natura e chi vuole cementificarla? O non vi saranno altre ragioni recondite?

«Domanda esatta, risposta difficile. In realtà sono stato accusato di tutto (dal lancio aereo di lupi siberiani e di vipere in sacchetti, alla caccia riservata al camoscio con la protezione di guardie armate). Il fatto però che nessuno abbia mai preteso seriamente di attribuirmi i reati più diffusi tra chi detiene il potere nel nostro Paese (come corruzione, truffa, peculato e simili) fa già capire di cosa stiamo parlando. Del resto, quello del Direttore del Parco non rappresentava un vero potere, al massimo poteva essere definito un “contropotere”… In un Paese come il nostro – dirò di più, nell’ambiente culturale dei villaggi di montagna del Mezzogiorno – promuovere ricerca e innovazione, attuare strategie di conservazione “rivoluzionaria”come la “zonazione”, pretendere la rigorosa applicazione delle normative ambientali, magari facendo abbattere una trentina di villini abusivi di potenti romani, e puntare sul volontariato e sull’ecoturismo, fin dal principio degli anni Settanta, era come offrirsi da bersaglio fisso per cecchini e per plotoni di esecuzione. Per di più, quegli ambienti “chiusi” erano già stati violentati e in parte corrotti dalla speculazione edilizia. Il fatto di essere “straniero”, vale a dire non “paesano”, aggiungeva un’altra colpa. Ma la vera, profonda ragione è politica, o meglio sta nella assoluta mancanza di una vera “politica” intesa nel senso più nobile. C’è stata sempre soltanto una “partitica” invasiva (simile agli affari di clan o di gruppi ben definiti), che si è occupata soprattutto di affarucci di bassa bottega. Ma sono mancati il patrocinio e la mediazione della vera politica, che doveva fungere da raccordo positivo e virtuoso tra la più lungimirante conservazione della natura e le comunità locali, talvolta miopi e talaltra disinformate e fuorviate. Non è emersa, insomma, alcuna personalità equilibrata, credibile e lungimirante che abbia saputo affermare chiaramente: “State calmi, abruzzesi, chi lotta per salvare l’orso marsicano lo sta facendo anche per voi e per i vostri figli”. Molti hanno invece gridato a pieni polmoni, istigando la caccia all’untore: “Aiutateci a cacciarli!”. Ogni “partitico” incallito odia infatti chiunque non si prostri ai suoi ordini, perché ritiene che costui, soprattutto se mostri capacità e indipendenza, gli sottragga una “quota di dominio” sulla gente e sul territorio».

Ma se andassimo più a fondo, quali gruppi politici (pardon, “partitici”) in questo terzo di secolo l’hanno più ostacolata nella “redenzione” del Parco, sono stati più sleali, hanno perseguito interessi meno cristallini?

«Verrebbe da rispondere quasi di getto “tutti, prima o poi”, ma forse è meglio essere un po’ più analitici. In altre parole, una risposta obiettiva e inconfutabile verrà soprattutto dagli studi in corso in Italia e all’estero (preferirei non essere proprio io, ed io soltanto, a pretendere di offrire risposte apodittiche). Uno di questi studi verte appunto su: “Ruolo dei partiti politici nella conservazione della natura in Italia”. Per chi volesse inquadrare nel modo migliore la storia della “redenzione” del Parco d’Abruzzo, poi, suggerisco la lettura del bel libro di James Sievert “The Origins of Nature Conservation in Italy” (Peter Lang, Berna 2000). Non a caso, reca in copertina una splendida immagine della Camosciara restituita alla natura: un evento davvero storico, celebrato nell’anno 1998. Nel periodo, insomma, della tanto “malfamata” vecchia gestione del Parco».

Diciamo qualcosa di più preciso, adesso, almeno sugli attacchi peggiori, in questa “lunga guerra per il Parco Nazionale d’Abruzzo”.

«Nell’anno 1969, ancor prima di entrare in servizio al Parco, la mia famiglia incominciò ad essere bersagliata da minacce di morte. Anche dopo, aggressioni fisiche a me e ai miei familiari non sono mancate, ma si tratta pur sempre di una infima percentuale, raffrontata alle alluvioni di veleni diffamatori e calunniatori profusi ovunque, e con ogni mezzo. Nelle denunce c’era tutto, dal traffico di droga all’ospitalità ai terroristi, al punto che ben presto subimmo indagini, perquisizioni, irruzioni notturne… Secondo qualcuno, di fronte alle valanghe di accuse così gravi, avrei dovuto dimettermi subito. Ma se l’avessi fatto, il Parco e l’Orso non esisterebbero neppure più… E di conseguenza, forse non sarebbe esplosa neanche la straordinaria fioritura di nuovi Parchi, quella che un Capo dello Stato definì, nel suo messaggio augurale al Paese del 31 dicembre 1988 “la primavera dei Parchi”. Perché il Parco d’Abruzzo, come tutti sanno, finì col diventare quasi una leggenda, molto al di sopra delle realtà e dei meriti effettivi: e venne ben presto preso a modello da tutti gli altri Parchi, non solo in Italia.
Le raffiche degli attacchi, mai interrotte, culminarono in tre fasi distinte, alle quali storici e politologi tendono ad attribuire sigle specifiche: negli anni Ottanta il Susygate, negli anni Novanta il Savyogate, ed infine nel Terzo Millennio il Pratesygate. Esaurite le prime due, la terza risulta ancor oggi in pieno svolgimento. Spesso mi viene chiesto come mai tutta questa acredine e tanto accanimento, e in che modo si possa spiegare una insistenza quasi maniacale. La risposta è semplice: nuovi tentativi si scatenano, là dove i precedenti sono falliti. Perché a quota 1.500 la mia fedina penale è ancora, come è sempre stata, perfettamente integra. Inoltre non vi è dubbio che la marea di fango riversata sul nemico da eliminare s’ingigantisce sempre, in proporzione diretta con la bassezza, il rancore, la gelosia e l’invidia di chi la scatena. E in qualche caso può anche scaturire, nei soggetti falsi, traditori e rinnegati, dal tumulto della coscienza e dal bisogno di cancellare tutto ciò che potrebbe suscitare rimorsi».

Vorrebbe dire allora che l’assalto al Parco si è scatenato come un complotto, un “golpe”, un “blitz” ben visto dai poteri forti e occulti, che hanno impiegato la doppiezza dei falsi amici, e di tutti coloro che avrebbero dovuto difenderla quando era ammalato? Insomma, è proprio vera la voce che circola, e cioè che ai danni del Parco e del suo Direttore sarebbe stata commessa una “porcata”, ovvero quella che oggi viene definita in gergo romanesco “una sozzura”?

«Questo lessico non mi appartiene affatto, e poi non intendo avere la presunzione di risolvere e svelare quello che molti hanno chiamato “il giallo del Parco”. Una risposta sicura verrà, ma forse dovremo ancora attendere. Credo che la verità affiorerà, prima o poi, e qualche sintomo promettente incomincia già a percepirsi. Ma non siamo al finale di un film americano, e non abbiamo un romanziere come John Grisham a raccontarci la conclusione del thriller. La giustizia si sta affermando, ma ovviamente con i ben noti tempi ital-giurassici. Noi, o forse sarebbe meglio dire i nostri figli, siamo sempre qui, in fiduciosa attesa».

Se dovesse concludere, almeno per ora, con una breve frase questa puntata del “giallo”, cosa le verrebbe spontaneo dire?

«Risponderei soltanto con due parole e mezzo: “Grazie Italia”, e “Scusa Italia”. Grazie, per avermi confermato quello che avevo intuito fin dal principio, nelle battaglie in difesa della natura. Una delle mie prime domande di fondo, all’epoca delle durissime lotte contro la speculazione edilizia, condotte insieme a personaggi del calibro di Antonio Cederna, fu infatti: “Ma questo Stato, da che parte sta?”. Scusa, per aver tentato di portarti all’avanguardia nella conservazione della natura, perché ora abbiamo la chiara conferma che i tuoi anticorpi non lo sopportavano, e che una tremenda crisi di rigetto era inevitabile».

Ma queste sono tre parole, e poi la parola Italia viene ripetuta due volte!

«Se è per questo, la parola Italia può anche essere ripetuta e urlata all’infinito, specialmente alle partite e alla televisione, ma è la sostanza che qualche volta manca: perchè non c’è molto rispetto per l’identità del Paese e la dignità della sua gente. Distruggere quello che gli svizzeri chiamano “il volto amato della patria” per un profitto immediato significa rinnegare il proprio Paese, cancellarne una delle parti migliori. In questa situazione l’Italia finisce dimezzata, diventa appannata e si mostra contraffatta. Ancora troppo lontana dal sogno di un’Italia autentica, integra e giusta: quella più vera, che forse un giorno potrebbe risorgere».

Fonte comitato parchi

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