giovedì 24 maggio 2012

L’enigma del Gorzano

Ci sono piccole, ma significative accortezze, che durante una passeggiata in montagna riescono senza dubbio ad agevolarne la buona riuscita. Ad esempio, se decidete di raggiungere la cresta del Monte Gorzano, non ha molto senso camminare per circa un’ora in direzione di una cima diversa, arrossire improvvisamente e, tornando indietro, accorgersi di non aver riconosciuto il Gran Sasso; l’esuberanza e la determinazione andrebbero poi accompagnate da uno straccio di “mappa dei sentieri”, in luogo di un anonimo pezzo di carta in cui il percorso viene descritto più o meno con la seguente dovizia di particolari: “salite per un po’, incontrato un cespuglio di genzianelle girate a destra e percorrete fiduciosi un tratto erboso che senza dubbio vi condurrà alla meta della vostra passeggiata”.



I Monti della Laga sono uno dei posti più belli del mondo:




I mille verdi, che distruggono la mia vista e quella dell’amico Ioao Paulus dall’ingresso del Parco Nazionale fino a quando stramazziamo sfiniti sul versante opposto alla “Costa delle troie”, sono granate di gioia; un po’ perché perdersi nell’ombra del bosco dai grandissimi alberi è piacevole, un po’ per il sole che brucia nei tratti scoperti, il nostro passo, il mio passo, non è particolarmente deciso; avanzo tra cortecce e foglie placidamente, tentando di neutralizzare ogni tentativo di strappo e cambio di ritmo imposto dello smanioso amico che cammina e sbuffa al mio fianco. Ma quando un boato d’acqua scrosciante arriva alle nostre orecchie e la Valle delle Cento Fonti si apre selvaggia alla vista ci muoviamo rapidi ed eccitati verso il bordo del torrente; qualche secondo di silenzio sembra essere l’unico degno modo per godersi lo spettacolo:





Mi risveglio dal torpore in cui ero sprofondato e realizzo che è arrivato purtroppo il momento di camminare in salita; risaliamo il corso d’acqua per una ventina di minuti fino a quando anche l’ultima goccia sparisce in una fessura rocciosa: siamo a 1.700 metri e un enorme valle gialla e verde ci osserva dall’alto, con un ghigno sinistro dipinto sulle rocce. Raccogliamo la sfida e iniziamo l’ascesa alla cresta dell’enorme anfiteatro, mentre il sole picchia forte e la mancanza di qualsiasi traccia o segnale favorisce la bestemmia; dopo un centinaio di sudati metri urge una scelta sulla direzione da prendere, decidiamo di girare a sinistra fidandoci del nostro infallibile senso dell’orientamento e, pieni di felicità, andiamo ad arenarci sul mortale e sterile lato sinistro del costone, che a nulla conduce. Comunque si procede, mentre sono invaso dal terrore per la mia incolumità: è chiaro che il mio compagno mi ucciderà se a breve non vedremo qualcosa di simile a un picco, gobba o sommità del Gorzano; temporeggio, sperando subdolamente in un suo crollo psico-fisico, e cerco di convincerlo che non sempre la vista più bella è quella che si osserva dalla cima, e che in fondo il tentativo e la rinuncia sono esperienze più nobili dell’effimera conquista. Quando schivo il suo sputo sono le due del pomeriggio, siamo a quota 2.000 metri, e il prosciutto, lo stracchino e la rucola appaiono gli unici possibili luoghi d’incontro tra le nostre distanti anime.                             

Adagiati sulla calda terra ci godiamo il vento, il sole e la stanchezza e soprattutto l’inaspettato dono dei dieci minuti di sonno più belli della mia vita. Una sigaretta al risveglio e via di corsa alla macchina, che fiumi di birra e piacevoli chiacchiere ci attendono impazienti, mentre un ultimo saluto va alla misteriosa e mai vista vetta del Monte Gorzano.

1 commento:

  1. ma ciao! se non fossi passato per il mio blog, non ti avrei trovato :)
    evviva la montagna!!!

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